4 novembre 1956. L’Armata rossa entra a Budapest: i carri armati dell’Unione Sovietica soffocano nel sangue la rivoluzione ungherese. Dopo la Seconda guerra mondiale, i paesi vincitori dividono il mondo in sfere d’influenza: l’Ungheria, come tutta l’Europa dell’Est, entra nell’orbita dell’Unione Sovietica, che a partire dal 1949 controlla il paese attraverso Mátyás Rákosi, uomo fedele a Mosca. Il 5 marzo 1953 muore Stalin, leader sovietico al potere da quasi trent’anni. All’interno del Partito Comunista Sovietico, inizia una lotta per la successione che coinvolge anche i paesi satelliti: Rákosi è sollevato dall’incarico di Primo Ministro. Il nuovo capo del governo ungherese diventa Imre Nagy. Nagy avvia significative aperture in campo economico, politico e culturale. Vengono liberati numerosi detenuti politici, incarcerati durante il governo di Rákosi. Ma Mosca ritiene che Nagy si stia spingendo troppo oltre e nell’aprile 1955 lo rimuove dall’incarico, sostituendolo con il più fedele András Hegedüs. Nel febbraio ‘56, durante il XX congresso del PCUS, il sistema sovietico viene scosso alle fondamenta: il nuovo leader Nikita Krusciov pronuncia un discorso in cui critica duramente il suo predecessore Stalin, denunciandone errori politici e metodi repressivi.
Le parole di Krusciov accendono speranze di libertà in tutta l’Europa dell’Est: in Polonia e Ungheria nascono moti pacifici, che partono dalle élite culturali e si diffondono a tutta la società. A partire dal 23 ottobre 1956, Budapest è animata da grandi manifestazioni di piazza. Ben presto le proteste pacifiche si trasformano in una vera e propria insurrezione: vengono abbattute le statue di Stalin, i soldati staccano le stelle sovietiche dai berretti e i manifestanti strappano i simboli del comunismo dai tricolori. Mentre la folla assalta i palazzi governativi, la polizia politica apre il fuoco, provocando morti e feriti. Il 24 ottobre, sulla spinta dei tumulti, Nagy torna al governo e ottiene che le truppe sovietiche di stanza a Budapest abbandonino la capitale. Ma dopo solo pochi giorni, all’alba del 4 novembre 1956, cinquemila carri armati sovietici entrano nella città. Budapest resiste con orgoglio, ma dopo quattro giorni di aspri combattimenti strada per strada, la rivoluzione ungherese è sconfitta. L’Armata Rossa imprigiona oltre ventimila persone: tra di esse c’è anche Imre Nagy, che verrà impiccato il 16 giugno 1958. Tutto avviene nel silenzio dell’Occidente: impegnati in Egitto nella cosiddetta Crisi di Suez, né gli USA, né i paesi europei reagiscono all’intervento sovietico.
Nonostante venga approvata da tutti i partiti comunisti d’Europa, la repressione della rivolta ungherese comincia a offuscare il mito dell’URSS nella coscienza di molti intellettuali e militanti comunisti.