Militare, rivoluzionario e politico messicano, Porfirio Díaz governa il suo Paese negli anni tra il 1877 e il 1911. Nato a Oaxaca il 15 settembre 1830, a soli 16 anni inizia a partecipare alla burrascosa vita politica e militare del Messico. A partire dal 1858 prende parte alla cosiddetta Guerra della riforma che porta al potere i liberali di Benito Juárez. È il 1861: a 31 anni, Porfirio Díaz è nominato generale e viene eletto deputato. I precedenti governi messicani hanno contratto debiti ingenti con molti paesi europei: forte di questi prestiti non restituiti, la Francia invia le sue truppe e nel 1863 prende il controllo del paese. Díaz combatte i francesi, che vengono sconfitti nel 1867.
Nello stesso anno rompe la sua amicizia di lunga data con Juárez: per due volte si candida contro di lui alle elezioni presidenziali, ma subisce altrettante sconfitte. Tenta allora di prendere il potere con le armi, e dopo il fallimento di numerosi tentativi di colpo di stato, nel 1876 rovescia il presidente Lerdo, successore di Juárez. Sei mesi dopo è eletto presidente. A partire dal secondo mandato, instaura un regime monopartitico e modifica la costituzione, eliminando il numero massimo di mandati presidenziali. È l’inizio del porfirismo. Quando Díaz va al potere, il Messico sta vivendo un periodo di profonda crisi, segnato da forte instabilità e da un troppo lento processo di modernizzazione.
Il cuore della sua politica è il rilancio dell’economia attraverso l’apertura agli investimenti di altre nazioni: durante il porfirismo, gran parte delle risorse energetiche messicane vengono gestite da imprese straniere. L’iniezione di capitali provenienti dall’estero favorisce lo sviluppo del Messico, ma riduce l’autonomia politica del paese, sempre più dipendente dai paesi investitori e in particolare dagli USA. Per assicurare stabilità al paese, Díaz rafforza i rurales, forza paramilitare con il compito di soffocare il banditismo e le proteste politiche. Il potere di Díaz si basa sull’appoggio di una ristretta cerchia di latifondisti, nelle cui mani si concentra gran parte delle terre messicane. La maggioranza della popolazione vive in condizioni di arretratezza e povertà.
Convinto di avere saldamente in mano il paese, nel 1910 Díaz indice elezioni aperte ad altre forze politiche. Il dittatore è confermato presidente, ma il suo principale avversario, Francisco Madero, dichiara falso l’esito del voto. Madero chiama alla rivolta la popolazione messicana: nel 1911, insieme ai rivoluzionari Pancho Villa ed Emiliano Zapata, rovescia Díaz dopo quasi trent’anni di dittatura. Costretto all’esilio, negli anni successivi Díaz viene accolto con omaggi e onori in molti paesi europei. Muore a Parigi il 2 luglio 1915. Ha 84 anni.